SENO E BIBERON, DUE CULTURE A CONFRONTO: NUTRIRE E NUTRIR-SI

 

“Vorrei smettere di allattar al seno, per essere più libera e anche meno stanca – scrive Giulia, una giovane mamma – ma mi sento in colpa e so che il pediatra non sarebbe d’accordo. Così ho pensato di rivolgermi ad una psicologa perché mi dia un consiglio su cosa è meglio per il mio bambino”
 
Quante volte capita di essere interpellati rispetto a dubbi delle mamme riguardo l’allattamento e lo svezzamento. I tanti interrogativi che inquietano le donne alle prese con la nutrizione del figlio concernono sia aspetti qualitativi – cioè relativi all’apporto nutritivo più o meno ricco dell’allattamento al seno o al biberon – ma anche quantitativi, relativi soprattutto al numero delle poppate. Tuttavia, come emerge dalle parole di Giulia, tali dubbi non si esauriscono nella mera funzione nutritiva, viceversa coinvolgono le emozioni, i vissuti intimi di ogni madre. Ecco perché dal punto di vista psicologico, non è mai bene generalizzare: ogni allattamento è una cosa a sé, unica ed originale, proprio perché riguarda due esseri e una relazione che piano piano sorge e si tesse, sempre diversa l’una dall’altra. È senz’altro vero che oggi prevale una cultura che incoraggia l’allattamento al seno: ma è legittimo chiederci se una neomamma sia sempre in grado di scegliere liberamente e serenamente come nutrire il proprio bimbo. Laddove una mamma si sente costretta ad esempio ad allattare al seno, può veicolare emozioni contrastanti insieme al latte, frutto di una scelta non maturata consapevolmente e in libertà. Certamente
l’interlocutore privilegiato è il pediatra, soprattutto se sensibile alla necessità di far prevalere nelle sue risposte una scelta consapevole e sintonica della madre rispetto alla forma di allattamento scelta, senza medicalizzare e/o demonizzare una delle due. Se ci soffermiamo sul concetto di cultura, anche rispetto all’allattamento naturale o artificiale, si evidenzia come tale termine significa coltivare, avere cura con attenzione e riguardo e anche come sia proprio la cultura a precedere il culto. Mi domando dunque se in fondo e anche all’origine, allattare il proprio figlio, non implichi innanzitutto un dono, più che una funzione. Quale dono? Il dono di una cura amorevole e “magica” e non solo ricca di principi nutritivi. Infatti il piccolo umano, quando piange, non chiede solo quell’oggetto (latte) che soddisfa il suo bisogno (fame-sete), ma domanda altro, che non si identifica con il bisogno ma che riguarda il piano degli affetti, della domanda d’amore. Mi riferisco alla costellazione emotiva che l’abbraccio tra la mamma e il piccolo sprigiona, durante la poppata. Il contatto tra i corpi, il calore, l’odore, i suoni e, in particolare, lo sguardo reciproco. Il “cibo per il cuore” è l’alimento più prezioso affinché il primo incontro con la vita possa essere una buona esperienza, arricchente i due soggetti impegnati all’inizio di un’esistenza: mamma e neonato. Una madre può donare il seno o il biberon al proprio figlio, facendo di questo incontro un momento magico, solo se tale atto è in sintonia con la propria scelta interiore, cioè se è riuscita a viverlo prima nell’intimo delle proprie emozioni. Tale armonia interiore può senz’altro pacificare contrasti e conflitti, interni ed esterni, e rendere l’allattamento quel momento iniziale e unico nel quale il piccolo può sentirsi risposto alla sua domanda d’amore, cioè al suo desiderio di sentirsi accolto, desiderato, curato con riguardo e amore. 
 
Affinché l’esperienza dell’allattamento abbia un buon avvio è necessario, nella prospettiva
psicologica, un’armonia, una serenità nella madre rispetto alla scelta del tipo di
allattamento.
Il bambino allattato non è solo nutrito, dunque passivo, ma si nutre di un “cibo” particolare
che non si compra al supermercato, che va a riempire il cuore e rispetto al quale seno e
biberon non fanno differenza.
E’ importante il sostegno non solo del pediatra, ma soprattutto del compagno, del padre,
laddove in particolare l’allattamento naturale mette in gioco il rapporto intimo di una
donna con il proprio corpo, con la libertà, la sessualità e lo stile di vita scelto sia
soggettivamente, sia in armonia con la vita di coppia.
Nella lettura della psicoanalisi il cibo (latte) è metafora dell’amore proprio a partire dal suo
sorgere all’interno di un’esperienza affettiva, di una relazione nella quale, oltre alla
veicolazione di sostanze nutritive e all’appagamento di un bisogno, inizia a tessersi un
legame d’amore.

Dott.ssa Pamela Pace – Psicoanalista, Psicoterapeuta, Presidente Associazione Pollicino e Centro
Crisi Genitori Onlus

(Pubblicato su: BenEssere, Rivista Edizioni San Paolo, Settembre 2016)